A undici anni di distanza dalla raccolta finale “Ingrediente novus”, Moltheni pubblica un nuovo album. S’intitola “Senza eredità” e rappresenta la chiusura di un cerchio, nonché l’ultimo capitolo di uno dei progetti più importanti del panorama indipendente italiano. Ecco la sua intervista (a cura di Adriano Festa)

Moltheni, torni con un lavoro originale a dieci anni di distanza da Ingradiente Novus, che apparentemente doveva essere un greatest hits, una raccolta conclusiva. Ovviamente dobbiamo dire che nel frattempo non sei rimasto inattivo: oltre ai tuoi vari progetti paralleli sei uscito quasi ogni anno firmandoti con il tuo nome d’anagrafe, Umberto Maria Giardini. Una domanda si presenta naturale: che differenza c’è, se c’è tra Umberto Maria Giardini e Moltheni? E cosa è successo che ti abbia fatto riprendere il tuo percorso musicale come Moltheni?
Innanzitutto il percorso musicale di Moltheni non è stato assolutamente ripreso. Senza eredità non è altro che la pubblicazione di un album di brani inediti che erano rimasti per lungo tempo dentro al cassetto, e quindi esclusi da svariati album della sua ultradecennale carriera. I fan da molto tempo chiedevano dove fossero andati a finire quei brani dimenticati, che in sporadiche occasioni, nei tour, avevo anche suonato. Questo disco è un omaggio a tutti coloro che ancora sono affezionati al progetto, esso è come il chiudersi di un cerchio rimasto nel tempo distrattamente aperto… nulla più. Se pur il marchio di fabbrica sia quasi identico, tra UMG e Moltheni le differenze sono marcatissime. L’esperienza Moltheni oltre che navigare su di un onda epocale culturalmente diversa da quella attuale, fu un progetto legato al cantautorato folk e alla psichedelia. I numerosi album che portavano questa firma, furono caratterizzati da svariati cambi di stile, nonché da un effervescente e programmatica luminosità, dettata perlopiù da un naturale entusiasmo, purtroppo oggi estinto. Dal 2012 con UMG si sono materializzate tantissime novità, agevolate sia da una consapevolezza legata al metodo con il quale scrivevo, ma anche dalle tecniche di registrazione, dal mixaggio, dalla produzione e dallo strumento con il quale scrivevo, passato dalla chitarra acustica alla definitiva elettrica. Il linguaggio si è evoluto e di conseguenza il prodotto si è rivolto ad un pubblico meno giovane e più esigente. Due mondi paralleli ma diversi.

Ingradiente Novus si concludeva con L’attimo celeste (prima dell’apocalisse), canzone già apparsa ne I segreti del corallo. La canzone si congeda con il verso, piuttosto definitivo e forse anche un po’ sinistro “Ferro, già ruggine”. A dieci anni di distanza riprendi il discorso solo apparentemente concluso con Ero Io, eri tu… oggi cerco ancora la mia libertà. E’ uno statement? Ci vuoi dire che in questi anni non hai perso la voglia di scrivere canzoni?
La voglia mischiata alla necessità di scrivere non mi passerà mai. Fa parte della mia natura; ho il difetto di scrivere un italiano molto diretto, spesso anche troppo, che si avvicina in maniera fastidiosa al parlato (dipende dalle mie origine marchigiane) ma nel tempo è diventato un mio marchio di fabbrica, così come il gioco delle rime e degli accostamenti per paragone. Sono io, e rileggendomi ogni volta mi riconosco.

Il tuo ultimo lavoro come Umberto Maria Giardini è datato febbraio 2019: Forma Mentis. Fortunatamente, la tempistica ti ha permesso di portare in giro le canzoni dell’album per quasi un anno, prima dello stravolgimento dovuto all’emergenza Covid ed alle difficoltà nell’organizzazione di eventi e manifestazioni musicali che tutti conosciamo. Hai pensato di posticipare l’uscita di Senza Eredità per essere sicuro di poterlo portare in giro? Credi che la musica e il business intorno ad essa possa adattarsi efficacemente a nuovi sistemi di distribuzione, ad esempio?
Non mi sono posto il problema, poiché non credo che il lavoro dell’oggetto finito (soprattutto oggi) sia debba necessariamente promuovere dal vivo. La mancanza dell’attività live dovuta alle restrizioni causa Covid 19, è dolorosissima, specie per coloro che come me, hanno sempre fatto dei concerti dal vivo un evidente marchio di fabbrica. Purtroppo la situazione è questa e bisogna accettarla armati di pazienza e di speranza verso un futuro migliore. Le modalità che il business adotterà per succhiare il sangue al prodotto musica, con i cambiamenti imposti e alle nuove forme di distribuzione, non mi interessa. Io vivo in un mondo molto più semplice, che condivido solamente con le poche persone che sporadicamente frequento. Di molte cose che accadono nel mondo della musica nemmeno me ne accorgo.

In questo periodo abbiamo assistito a modifiche consistenti in tutte le programmazione e nella fruizione stessa della musica. Alcuni artisti hanno posticipare di un anno o più l’uscita del materiale, altri erano continuamente on line per dirette, concerti casalinghi ed attività a distanza di vario tipo. Tu dove ti collochi? Come hai vissuto il tuo lavoro durante questi periodi di chiusura?
Non ho criticato ma non condivido assolutamente quello che moltissimi hanno fatto durante il periodo iniziale della pandemia. Inutile far finta di nulla, la verità è che ognuno di noi ha una morale e una cultura civica diversa. Io personalmente ho preferito (lo faccio tutt’ora) starmene in silenzio, non solo per un senso di rispetto verso le migliaia di persone morte, ma anche per una certa eleganza che mi induce a non dover trasmettere, ne a regalarmi nulla, soprattutto immagini in cui suono, canto e parlo di cazzate. La rete, soprattutto FB e Instagram, è oramai spazzatura tale e quale la tv. Un contenitore di sciocchezze e un asilo per stressati mentali, che non aspettano altro che post altrui, con i quali sfogare il loro disagio sociale conclamato.

A proposito dei temi del disco: in Le Nere geometrie paterne tratti una storia di violenza da una prospettiva femminile. In questi ultimi anni si è molto parlato di mansplaining e di appropriazione di temi e rivendicazioni che appartengono ad altri gruppi o minoranze. Cosa ne pensi? Qual’è il confine tra il legittimo desiderio di un artista di descrivere esperienze non sue e lo spazio che deve lasciare ad altri? E in più, perché la presenza femminile in un contesto professionistico musicale specialmente non classico è così minoritaria?
Credo che ognuno sia e debba essere libero di fare quel che vuole, anche quando sbaglia la sua collocazione, contestuale a quello che sta facendo. Il confine tra il legittimo desiderio di un artista di descrivere esperienze non sue e lo spazio che deve lasciare agli altri non ha secondo me una misura definita. Il resto non lo so.

Una nota citazione di James Baldwin dice che si scrive solo per noi e su di noi. In Me di fronte a noi parli di un amore adolescenziale ed ingenuo, mentre in passato dicesti che varie tue canzoni erano autobiografiche. Scrivere canzoni è più una riorganizzazione dei propri ricordi, la costruzione di un artificio o uno strumento di esplorazione?
Può essere ognuna di queste cose, dipende da cosa si cerca e da come si interpreta ciò che si scrive. Non bisogna poi dimenticare che, le persone traducono spesso in modo non del tutto coincidente, i messaggi e significati di chi li produce. La scrittura è un mondo e più mondi contemporaneamente.

Cambiando argomento, a proposito delle tue varie attività: Paolo Narduzzo è l’unico membro dei Stella Maris che compare come musicista in questo disco. Come gestisci o tieni separati i due progetti? Tra l’altro a proposito dei Stella Maris sembrava che doveste avere qualcosa di nuovo in uscita questo autunno. Poi apparentemente ci sono stati dei rallentamenti. Ci puoi dire qualcosa a riguardo?
Paolo Narduzzo nasce come bassista degli Stella Maris, ma per conseguenza naturale è diventato il mio bassista in tutto ciò che produco. La sua spiccata attitudine allo strumento a quattro corde e il suo gusto assolutamente riconoscibile, è per me preziosissimo e regolare fonte di ispirazione. Nel tempo si è creata poi una simbiosi amorevole che trascende il discorso professionale. Come Marco Marzo Maracas, anche Paolo Narduzzo è qualcuno che è parte di me. Basta una semplice occhiata e tutto torna. Stella Maris come molti progetti ha dovuto subire una ragionevole pausa forzata, sia per il congedo di due componenti che hanno preferito prendere altre strade, sia per il disagio Covid. Molto presto daremo news poiché è imminente la registrazione del nuovo album, che prevedo possa uscire in autunno. Sono molto eccitato al riguardo, perché ho l’album nella mia testa già definito, e sto da mesi lavorando nella sua definizione scritta che è praticamente quasi conclusa. Nel 2021 dedicherò tutte le mie forze a Stella Maris per il quale ho molte aspettative.

Sono colpito dalla costanza della tua produzione musicale. Come si fa ad essere così prolifico? Quando e quanto scrivi? È una necessità quotidiana? E quanto conviene per un cantautore produrre tanta musica piuttosto che promuoverla di più e portarla tanto in giro per creare una certa fan base?
In realtà le mie capacità produttive sono da sempre frenate, dall’impossibilità di far uscire tutto quello che vorrei e potrei. La mia predisposizione media di scrivere mediamente una trentina di brani e testi all’anno, non trovano un riscontro oggettivo. Dovrei avere tre etichette, tre manager, tre distributori differenti, altrettanti editori, e spese di produzione enormi, e ciò, soprattutto in Italia, non è economicamente percorribile. Tutto ciò che riguarda la promozione di un disco oggi è quasi esclusivamente legato al denaro, e alle somme che si hanno a disposizione da investire nel progetto, qualunque esso sia; ma non è detto che basti. I meccanismi legati al “successo” di un lavoro, non sono più ne’ pronosticabili ne’ presumibili, poiché oggi il mercato è caos. Caos culturale, caos gestionale, caos passionale, e soprattutto caos stilistico.

Per concludere volevo farti una domanda più svagata. Anni fa sospendesti la tua attività da cantautore per dedicarti alla batteria. La suoni ancora? Chi ha suonato la batteria in Senza Eredità?
Io nasco come batterista. Quando mi cimento a suonarla in sala prove e occasionalmente in studio, mi diverto tantissimo. Conosco lo strumento in maniera maniacale, e nel tempo da assoluto e convinto integralista, ho materializzato quello che considero il top dei vari set percussionistici. Dalle marche dei fusti, alle migliori annate riferite alle marche, dalla tipologia dei piatti, alle pelli, e infine ai suoni da ricavare in fase di rec. In Senza Eredità mi sono avvalso di batteristi bravissimi: in primis di Gianluca Schiavon, amico fraterno e batterista straordinario, con il quale ho lavorato oltre dieci anni, e poi con Emanuele Alosi ex batterista di Stella Maris, che ha dato un contributo prezioso nel brano La mia libertà. Io ho suonato la parte di batteria di Spavaldo in modo praticamente improvvisato. La batteria era microfonata, ero da solo in un pomeriggio di pausa, e in due take l’ho fatto.

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