Una rock band fatta di riffoni di chitarra sorretti da una sezione ritmica serrata. Così si presentano i Malena Verde. Abbiamo incontrato Marco Chiesa, batteria della band che ci ha detto la sua senza peli sulla lingua.
Com’è nata la vostra ultima produzione? C’è stata un’ispirazione particolare, e se sì quale?
La gestazione di questo lavoro è stata lunga. Abbiamo composto circa 10 brani in quasi due anni. Le ispirazioni per i lavori sono varie, dipende tanto dall’umore nel momento in cui si producono i riff. Nel caso di Maria, il nostro singolo, l’ispirazione è stato tutto questo doversi per forza relazionarsi tra di noi tramite i social.
Come nascono i tuoi brani?
I nostri brani solitamente nascono da un’idea, un riff di Enrico (chitarra) o Riccardo (basso). Poi insieme in saletta li lavoriamo tutti e tre, ed è un processo piuttosto lungo, perché, nel bene o nel male vogliamo dare un senso finito alla canzone. Poi se il risultato piace o meno ovviamente è soggettivo. Ma tutti i nostri brani hanno un loro senso, sia a livello compositivo sia un livello testuale.
Cosa conta di più tra una pagina Facebook con tanti like o un buon disco?
Io sono della “vecchia guardia”: per me conta un buon disco. Punto. E anche se attualmente la gente guarda di più i like torneremo al giorno in cui si guarderanno di nuovo i contenuti, invece che le immagini.
Vi riconoscete nella definizione di artisti indie?
Dipende cosa si intende per indie: in linea generale lo siamo, assolutamente. Come genere musicale invece no: mi piace definire il nostro genere “rock coriaceo”.
Cosa pensi dell’attuale music business?
Non esiste più un “music business”: oggi in Italia emerge chi fa rap-trap e fa un video che ha milioni di visualizzazioni, così va a fare concerti e magari riesce a vendere qualche migliaio di copia digitale. In parole povere l’attuale music business, soprattutto qui in Italia, è una merda.
I social hanno avvicinato i fan agli artisti o hanno allontanato gli uni dagli altri?
Domanda interessante: da un lato l’hanno aiutato, quanti artisti twittano, i fan commentano e gli artisti gli ritwittano. Anni fa l’artista era quasi “inavvicinabile”, al massimo se avevi fortuna lo incontravi per caso e gli chiedevi un autografo. Dall’altro lato invece lo allontanano, perché comunque tutti i social alla fine allontanano la gente. Ci vuole contatto “fisico” per avere un rapporto vero.
Qual è il confine tra indie e mainstream?
A parer mio è sempre stato un confine marcato, anche adesso. Il mainstrem è il sistema, l’indie è l’antisistema. Per questo dico che noi concettualmente siamo indie: noi siamo l’antisistema. Oggi il sistema, in Italia, è: faccio rap-trap, dico due o tre cazzate su carcere rispetto droghe e figa con l’autotune, faccio un video lo butto e via. Noi sudiamo sette camicie in saletta, ci mettiamo mesi a comporre canzoni e testi, lo produciamo noi in studi professionali e ci sbattiamo per fare qualche concerto. Stop. Abbiamo un’età di circa 40 anni tutti, in cui non scendiamo a compromessi con niente e nessuno. Fossimo usciti vent’anni fa forse potevamo essere un prodotto mainstream, e ci saremmo comportati, FORSE, di conseguenza. Crediamo fermamente che prima o poi il rock tornerà anche in Italia, e anche se quando succederà saremo ormai vecchi, va bene lo stesso. La cosa che vorrei tanto succedesse è che la gente torni a sentire della sana musica prodotta col cuore, con la testa e con un minimo di preparazione musicale.
Ha senso partecipare a un talent?
Dipende da tre cose: età dei componenti, voglia vera di provarci e genere musicale; se si è giovani, si ha voglia di provarci e si fa pop (che è l’unica altra cosa che in Italia va oltre al rap-trap) perché no? In tutti gli altri casi, noi compresi, NO. Secondo voi, io accetterei di farmi giudicare ad esempio ad X-Factor da Sferaebbasta?