Attivi fin dal 2007 i Chilafapuliska sono, come suggerisce il loro nome, una band ska con venature punk e beat. Il loro ultimo singolo Mary Jane vede la partecipazione di Roy Paci. Li abbiamo incontrati per quattro chiacchiere a tutto tondo.

In un mondo sempre più incentrato sul web, cosa conta di più tra una pagina Facebook con tanti like o un buon disco?

Beh, sicuramente oggi saper comunicare e conoscere le dinamiche e i “trucchi” per essere incisivi attraverso i social è molto importante, soprattutto per band/artisti che partono da zero o che non hanno dietro una grossa “macchina” produttiva. Avere tanti like non significa automaticamente avere tanta qualità, in quanto l’immagine e il sapersi vendere con idee geniali fanno impennare la popolarità in un primo momento, ma poi bisogna fidelizzare l’utenza acquisita sui social. Per questo rimane fondamentale la qualità del prodotto che proponi e soprattutto è fondamentale l’amore e la dedizione che ci metti nelle tue parole, nelle tue canzoni, nella tua musica.
Un buon disco è sempre un buon disco, a costo di risultare anacronistici o romantici, ma per noi è sempre al primo posto nella classifica delle priorità e degli obiettivi di chi fa musica.
I like cambiano, i dischi sono eterni.

Un aspetto positivo ed uno negativo del fare musica?

Aspetti negativi non ce ne sono, o comunque quelli che sembrano esserlo vengono sempre annientati.
Scrivere canzoni, suonarle e arrangiarle in sala prove, metterle su un disco, girarci videoclip, suonarle dal vivo davanti a 5 o 50.000 persone, sono attività che riempiono la vita, sia dei musicisti che degli ascoltatori. 
Fare musica crea positività, good vibration, amicizie profonde e sincere. I Chilafapuliska sono esattamente questo, una vera e propria famiglia! Il legame artistico e umano che ci unisce ci rende invulnerabili alle delusioni, agli episodi spiacevoli, alle ingiustizie o a tutto quello che di negativo può capitare ad una band… e da buoni abruzzesi testardi non ci siamo mai “arresi”.

Credete che un artista debba schierarsi politicamente?/Approvate la politica nella musica?

Crediamo che qualsiasi artista sia libero di fare e dire ciò che vuole nelle sue canzoni. Nei nostri testi affrontiamo anche temi politici, sociali, culturali, dando la nostra visione ed interpretazione di ciò che ci circonda, senza presunzione e senza voler imporre il nostro pensiero, ma solo con l’intento di dare spunti di riflessione. Per noi questo è l’unico modo genuino di “fare politica” attraverso la musica. Non siamo schierati, ma siamo contro tutti i tipi di intolleranze e per la libera espressione dell’umano.

Cosa ne pensate dell’attuale music business?

Ti abbiamo in parte risposto nella prima domanda, ma lì siamo stati abbastanza “politically correct”, ora saremo un po’ più cattivi. Il potere del web ha demolito vecchie dinamiche del music business, facendo emergere tante realtà valide e interessanti ma portando con sé anche tanti “fenomeni” musicali (o forse anche sociali) che hanno davvero poco o nulla da dire. Così è anche per gli amati/odiati talent: vetrine e rampe di lancio di tanti nuovi volti della musica italiana, nel bene o nel male. Oggi tutti possono avere i 15 minuti di notorietà come diceva Andy Warhol, ma allo stesso tempo possono risultare altamente cretini davanti al mondo come diceva Umberto Eco.
In definitiva, dall’ottica di musicisti, pensiamo che l’attuale music business sia un enorme casino (ah ah ah!), dove quando pensi di aver trovato la chiave per “sfondare” in realtà sei già in ritardo o molto più probabilmente hai toppato clamorosamente. Quindi tanto vale continuare a fare quello che sai fare e che ti senti di fare, e puntare sempre a farlo meglio.

Credete che le nuove tecnologie aiutino il rapporto tra musicisti e pubblico o che abbiano distanziato gli uni dagli altri?

Entrambe le cose. Sicuramente le nuove tecnologie hanno eliminato barriere di comunicazione tra artisti e pubblico, in entrambi i sensi. I fan possono interagire e quindi anche influenzare l’artista che però deve essere capace di mantenere una identità e non seguire lo stream solo per la popolarità. L’artista ha una grande responsabilità: aiutare il suo pubblico a riflettere, pensare e quindi crescere con lui. Di contro la facilità di accesso alla musica fa sì che ci sia spesso un ascolto più veloce e superficiale rispetto a quello che avveniva prima. Il disco fisico porta il pubblico ad immergersi nella musica in maniera diversa, a dare più importanza nel momento dell’ascolto; c’è proprio un rituale da seguire, non è musica usa e getta a portata di click. Un disco è molto di più di una manciata di singoli messi insieme.

Qual è il confine tra indie e mainstream?

La musica indipendente è come la lava di un vulcano, bolle al suo interno e si tiene pronta ad uscire durante un’eruzione. Quindi il confine c’è, ma non è una barriera invalicabile, semplicemente per noi “indie” continua a significare “indipendente” e non riusciamo a vederlo come un genere o fenomeno musicale. Riuscireste a dire che Verdena e Thegiornalisti (ad esempio) fanno parte dello stesso calderone? Noi no.

Cosa pensate del Crowdfunding? Lo ritenete un mezzo veramente utile per i musicisti?
Ci piace l’idea che un ascoltatore compri sulla fiducia un prodotto che deve ancora arrivare… ma allo stesso tempo ci renderebbe nervosi e sotto pressione. È sicuramente un mezzo utile e intelligente di reperire fondi per la realizzazione di un’opera, ma secondo noi non indispensabile. Se credi totalmente nella tua musica, ci devi puntare ed investire con la determinazione di chi sa che verrà ripagato dei suoi sforzi. Vendere un disco dopo aver finito il tuo concerto e aver dato tutto sul palco è oggettivamente più appagante del ricevere a distanza con un click una somma in denaro virtuale!

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