Parlaci del tuo ultimo lavoro. Cosa ti ha ispirato nella composizione?

L’ispirazione per Biriyani è arrivata da una storia di vita, un caro amico bengalese conosciuto in via centotrecento a Bologna, Sumon, la canzone racconta sotto forma emozionale la sua storia.
La composizione è maturata di pari passo mediante il processo creativo, amo sperimentare, ma in questo caso gli arrangiamenti era come se fossero già lì ad aspettarmi.

Quali sono le tue principali influenze?

Le mie influenze vanno dal Brit rock alla new Wave inglese/italiana degli ‘80, il post punk italiano.
Ascoltavo da bambino molto cantautorato e ammiravo la capacità comunicativa dei grandi cantautori unita alla semplicità delle loro opere.
Sono fortemente attirato dalle sonorità lo-fi e gioco molto a mischiarle con stili diversi, amo sperimentare e lavorando in autonomia posso davvero spaziare molto ignorando le “leggi del mercato musicale”.

Come nascono i tuoi brani?

I miei brani nascono tutti da esperienze che vivo in prima persona o che mi toccano mediante le mie conoscenze, amo ascoltare le storie e viverle di rimando quando poi le butto giù sotto forma di pezzi, quello che scrivo è accaduto, accade, accadrà.

In un mondo sempre più incentrato sul web, cosa conta di più tra una pagina Facebook con tanti like o un buon disco?

La comunicazione, il comunicare, è vitale.
Intendo il concetto di restare aperti e dialogare  anche nel mondo della musica, cercando di
vederla così potrei starci dentro, oggi è tutto un fagocitare, arrivare primi, generare numeri, lavorare per avere, qualcuno forse si dimentica che l’arte, spesso e volentieri, non paga quasi mai.
Io cerco di farlo partendo dall’idea che ho bisogno di scrivere per allontanare determinate cose e liberarmene, certo i social ci hanno permesso di essere “capitani di noi stessi” da questo punto di vista, ci hanno liberati ma dobbiamo stare attenti, la nostra faccia è sempre meno importante, a mio avviso, della nostra arte.

Un aspetto positivo ed uno negativo del fare musica?

Mmm.
Uno positivo potrebbe essere quello di crescere interiormente adoperando linguaggi diversi dal solito, acquisendo anche fiducia in noi stessi, non vergognandoci di sentire emozioni e riuscire a parlarne, la musica è terapeutica per chi la fa, è così anche per me.
Un lato negativo, come è nel mio caso, alle volte acquisisci strumenti e metodi di analisi verso te stesso che ti fanno scavare molto affondo dentro, c’è il rischio di perdersi, di conoscersi forse troppo, indagando cose che erano sopite, però si, se vai in gita alle cascate del Niagara e non ti sporgi un po’, rischiando, per goderti il panorama, beh allora meglio non partire.

Credi che un artista debba schierarsi politicamente?/Approvi la politica nella musica?

La politica è fondamentale per la musica è viceversa, credo che non si possa prescindere dall’attività politica nel mondo artistico in generale, l’una rigenera l’altra in alcuni casi.
Sono a favore dello schierarsi politicamente sempre, ogni artista ha il proprio linguaggio e attraverso quello dovrebbe fare riferimenti diretti e non per favorire un dialogo politico.
Nel mio caso uso riferimenti non troppo evidenti nei miei testi, Biriyani ad esempio di rimando è uno spaccato di vita riguardante l’integrazione, Gelo polare lo era anche.
Non esiste chiudersi a riccio.
L’arte è denuncia, un diario di quel momento, una fotografia della società.

Cosa ne pensi dell’attuale music business?

Come molte volte avete già risposto nella domanda, c’è la parola business.
La speculazione non mi è mai piaciuta, un’artista dovrebbe poter vivere di quello che fa assolutamente godendo delle leggi economiche naturali di un mercato sano, che dia priorità al concetto di arte e non di vendita e di resa finale dell’opera.
Oggi vivere di musica è possibile.
Essere parte di un ambiente/movimento musicale coerente con quello che dice nei propri testi e che protegge i suoi figli dall’industrializzazione musicale?
Beh, andiamo avanti.

Credi che le nuove tecnologie aiutino il rapporto tra musicisti e pubblico o che abbiano distanziato gli uni dagli altri?

Hanno aperto tantissime possibilità per entrambe le categorie.
Per i musicisti ora c’è la possibilità di arrivare a   piu persone possibile, quasi “fidelizzarle” , creare la propria fan base magari facendo anche pochi concerti, problema grave ma non colpa dell’artista molte volte, ci si dimentica molte volte che per fare concerti bisogna essere in due, ci devono essere delle condizioni per entrambi gli attori in scena, inutile dire che per i piccoletti sfigati come me suonare è sempre una scommessa, essendo booker di noi stessi.
IL pubblico ha dall’altra parte la sensazione che Il musicista sia diventato il suo vicino di casa, il suo tabaccaio di fiducia, l’amico che suona, di questo ne sono felice, anche basta con l’idea del cantautore/musicista vecchio stampo “giovane bello divo e poeta “ nel senso.
Ho però la sensazione che ultimamente ci siano più “musicisti influencer” che musicisti e basta, mettete da parte l’ego e fate quello che cazzo volete e vi fa stare bene.

Qual è a tuo giudizio il confine tra indie e mainstream?

I soldi per una produzione che non ho io e che mi portano a lavorare in auto produzione quasi totale e i soldi che hai tu, musicista X, che puoi sfornare robe musicali firmate per il potere d’investimento che hai.
La differenza tra i due è il lavoro, come si arriva alla fine della fiera che è uguale per tutti, fare una canzone.
Rido quando leggo colleghi o amici che dichiarano l’indie morto, saranno tutti ricchi e benestanti!

Cosa pensi del Crowdfunding? Lo ritieni un mezzo veramente utile per i musicisti?

Percepivo il crowdfunding quando suonavo per strada e la gente mi dava qualche spiccio per motivarmi e supportarmi, alla fine delle giornate ero contento e andavo a comprarmi le sigarette preso bene, quella è l’unica forma di crowdfunding che ci piace, il resto per me è scopo di lucro da parte di terzi.
Vecchia storia.
Vecchie abitudini.

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