Parlateci del vostro ultimo lavoro. Cosa vi ha ispirato nella composizione?

Federico: A volte capita di ritrovarsi a suonare in un posto di quelli in cui credi di aver sbagliato indirizzo. A noi è capitato. La fauna del posto era molto stilosa, cosparsa di marchi, con le sopracciglia pettinate, le barbe scolpite, ma percepivamo una certa rigidità. E, mentre consumavamo il classico pasto pre-concerto senza troppi pre-concetti, abbiamo pensato che, in effetti, eravamo nel bel mezzo di una sceneggiata. Una finzione. Una sorta di puntata reale di “Un posto al sole”, solo che non era al sole, ma c’erano un sacco di luci bianche sparatissime. Qual’è lo stereotipo della finzione, dunque? L’orgasmo. Lì è partito tutto, anche se non c’entra nulla, ma a volte basta il La. Però il pezzo non è il La, mi pare. I batteristi ‘ste cose non le hanno mai capite.

Sebastiano: In realtà una parte in La c’è, nel brano, ed è proprio quando entra la voce di Federico, ma diciamo che non è un brano che si ferma molto su una tonalità. Trattando questo tema abbiamo cercato qualcosa che non risolve mai del tutto. Rispetto al tema della finzione, però, vorrei dire una cosa:“Fingere l’orgasmo” è una storia femminile, ma anche una storia di uomini che non si accorgono di niente, che non pretendono (il famoso “basta che respiri”). Diciamo che, ribaltando il sesso di chi vuole fingere l’orgasmo, vogliamo andare contro ogni stereotipo, cercare un qualcosa che vada oltre le relazioni finte. Forse abbiamo scritto una canzone intelligente, la prima.

Quali sono le vostre principali influenze?

Federico: Siamo cagionevoli di salute, abbiamo le difese immunitarie basse, ci facciamo influenzare facilmente un po’ da tutto. Abbiamo iniziato facendo improvvisazione jazz-psichedelica, abbiamo entrambi trascorsi da rochettari, se iniziamo a suonare senza guardarci ci viene sempre un riff funk. Perché porsi dei limiti? In fondo uno in qualche modo deve morire, un’influenza vale l’altra.

Come nascono i vostri brani?

Federico e Sebastiano: Nascono, come nel caso precedente, da una frase, una parola, una battuta, oppure un giro armonico, una melodia. Nascono come per tutti, per caso, solo che i nostri sono più belli.

In un mondo sempre più incentrato sul web, cosa conta di più tra una pagina Facebook con tanti like o un buon disco?

Federico: Una pagina facebook con tanti follower aiuta a fare profilo. Se capiti su una pagina di un gruppo che non conoscevi, ma con già qualche migliaio di follower pensi “Hey, ma perché non li conosco? Devono essere davvero fichi!” Mentre se hanno tre follower pensi che siano degli sfigati. Purtroppo credo sia abbastanza fisiologico. Di fatto noi abbiamo una pagina facebook con 6000 fan, che non sono pochi, e abbiamo lavorato molto sul web per aumentare il nostro pubblico, dato che abbiamo “buttato” un album (da cui è tratta “Vorrei Fingere l’Orgasmo”, by the way) proprio perché avevamo paura di lanciarlo nel vuoto e non avere la giusta risonanza. Per questo abbiamo sviluppato le nostre potenzialità “comiche” e ci abbiamo messo la faccia con due webseries: POSISCION TU, in cui analizzavamo e risuonavamo la seconda posizione della classifica dei singoli più venduti in Italia, ogni settimana, e HAPPY BIRTHDAY TU, che abbiamo realizzato per RaiPlay e Rai3, celebrazione ironica dei grandi della musica italiana, con cui siamo arrivati anche ad uno speciale Sanremese che ci ha portati in vetta agli ascolti web di Rai3. Quello è servito tanto, ma per tornare al punto, serve sempre la cosa principale, ovvero la musica. Tutto il movimento sul web serve a farti arrivare ad ascoltare e, se quando arrivi trovi qualcosa di poco interessante (per quello che voglia dire nel 2019 “interessante”), hai solo buttato tempo e soldi.

Sebastiano: Per me, in realtà, è la musica che conta e, contemporaneamente, è vero che per trovare la musica che ti piace ti affidi ad una piazza, agli amici che ti consigliano, a chi ti passa le sue preferenze. Questo è il compito dei social e penso che a volte (proprio perché è virtuale) non ci rendiamo conto di chi ci sia dentro quella piazza. Instagram, che piace tanto a Fede, mi fa sentire un disagiato. È un mondo di fotografie in cui fatico a trovare spazio per la musica e le parole, anche se so che, di solito, c’è sempre un angolino della piazza in cui stanno degli amici a scambiarsi sogni e cassette (si può dire la parola cassette nel 2019?).

Vi riconoscete nella definizione di artisti indie?

Federico e Sebastiano: Per noi l’indie è quello dei Sonic Youth, dei Fugazi, dei Pixies. Quando ascolto le playlist indie italiane su Spotify provo un po’ di confusione.

Diciamo che ci riconosciamo nel concetto di “Indie” perché finora i nostri lavori sono stati praticamente sempre autoprodotti, non abbiamo una scia musicale definita che seguiamo, ci sentiamo abbastanza indipendenti, ma chissà cosa succederà domani.

Cosa ne pensate dell’attuale music business?

Federico: Esiste un music business? Dov’è? Me lo dici per favore? TI PREGOOOOOOO!

Sebastiano: In realtà in Italia è successo questo: la cosiddetta industria musicale ha smesso di investire sulla crescita degli artisti per inseguire la TV, producendo musica a obsolescenza veloce (il tempo di una stagione televisiva). La gente(non solo un pubblico colto), però,  ha cominciato a trovare quelle cose meno interessanti. Da qui si è aperto un nuovo spazio per le etichette indipendenti. Qualcuno è stato anche molto bravo a cavalcare l’onda lunga causata dallo sprofondamento della faglia delle major (scusate la metafora tettonica). La cosa noiosa del business è che se c’è una cosa che vende tanto, una Nutella della musica, subito si creeranno dei Nutilli, Notelli, Nutil, solo perché c’è quello spazio nel mercato.

Credete che le nuove tecnologie aiutino il rapporto tra musicisti e pubblico o che abbiano distanziato gli uni dagli altri?

Federico: Credo che nella mia adolescenza l’unico modo di ascoltare musica nuova fosse scambiarsi le cassette o i dischi, per i più fortunati copiarle o masterizzarli, per chi aveva i primi modem passare le ore in coda su Napster. Oggi è tutto sotto un dito, lo scibile della musica del mondo da sempre. Non può che essere un bene. Certo, mi manca tantissimo incontrarsi con il gruppo di amici appassionati per ascoltare un disco intero insieme, nella stessa stanza. Sigh.

Qual è a vostro giudizio il confine tra indie e mainstream?

Federico: Credo che ci possa essere un solo confine: quello politico. Si può scegliere di non diventare mainstream perché non si vuole entrare in meccanismi di mercato, ma anche la musica indipendente ha il suo concetto di mercato. Se scegli di non far parte del mainstream lo stai facendo per una scelta politica, non legata per forza a un’idea politica condivisa, ma alla tua visione delle cose. Altrimenti indie e mainstream rimangono solo due categorie musicali, di genere, che mi hanno sempre fatto molta tenerezza: i Nirvana sono indie o mainstream? Calcutta è indie o mainstream (come il titolo del suo album, non a caso)?

Cosa pensate del Crowdfunding? Lo ritenete un mezzo veramente utile per i musicisti?

Federico: I movimenti dal basso sono sempre utili. Abbiamo pensato spesso di farlo, per realizzare le nostre cose, ma poi abbiamo sempre avuto paura di sembrare dei rivenditori porta a porta. Ho contribuito a più di un progetto realizzato con il crowdfunding, ma, al momento, non sono ancora pronto a farlo per me. Anche qui, chi lo sa cosa succederà domani?