Parlaci del tuo ultimo lavoro. Cosa ti ha ispirato nella composizione?

Mi ha ispirato una vecchia relazione nata in chat, fatta di messenger e di skype. Una storia virtuale che non ha portato i frutti sperati ma che all’epoca è stata un modo per evadere dalla quotidianità di un ventenne.

Quali sono le tue principali influenze?

Sono cresciuto col punk e con la scena alternativa italiana e internazionale: Cure, Radiohead, Verdena solo per citarne alcuni. Ho sempre fatto molta attenzione anche ai testi. Poi è arrivato Le Luci della Centrale Elettrica e tutto il cantautorato post-2000 che mi ha aperto nuove strade. Comunque non nasco cantautore.

Come nascono i tuoi brani?

Nascono da momenti che una mia amica chiamerebbe “punti di sella”, cioè da una condizione di non completa lucidità e di non completa ebbrezza. Quei momenti in cui brillo vai in bagno, ti trovi da solo con te stesso a ridere e ti sembra di afferrare il senso profondo, da cui si originano note e parole. Non mi metto a tavolino a scrivere, a un certo punto seguo una corrente che mi circola dentro e vengono fuori canzoni. Ancora oggi penso sia una sorta di miracolo.

In un mondo sempre più incentrato sul web, cosa conta di più tra una pagina Facebook con tanti like o un buon disco?

Le due cose procedono insieme. Se spingi benissimo musica fatta malissimo, i risultati non arriveranno. Se spingi malissimo una musica fatta benissimo, i risultati non arriveranno. Conta un buon disco e una buona promozione, per avere un meritato riconoscimento.

Un aspetto positivo ed uno negativo del fare musica?

Ci pensavo ultimamente. L’aspetto positivo è la scintilla, lo stupore, il sentirsi preda di note e parole che riempiono la vita. Non capisco chi vive senza musica o solo sentendo la radio in macchina. Fare musica però ti fa anche soffrire, ti fa fare sacrifici di cui non si ha idea e di cui quasi nessuno avrà mai idea. Ne ho fatti tanti, ma la cosa bella è che più mi sento un coglione a buttare tutte queste energie e più sento di fare la cosa giusta. La cosa giusta per me.

Credi che un artista debba schierarsi politicamente?/Approvi la politica nella musica?

Assolutamente si. Non sono un nostalgico del vecchio cantautorato, dico solo che la musica rientra nella libertà di espressione e bisogna avere più coraggio se si vuole fare critica e controcultura attraverso la musica. Se io non ho ancora parlato espressamente di politica è perché la reputo poco interessante. Non mi ispira musicalmente, la affronterò magari un giorno in un libro ;).

Cosa ne pensi dell’attuale music business?

Come la politica, non mi ispira e non ho alcuna voglia di pensarci. Mi affido a chi ci nuota volentieri dentro ma personalmente cerco di restarne il più fuori possibile. Sicuramente è sempre più difficile trovare rapporti disinteressati all’interno di questo mondo, in cui l’1% ce la fa e l’altro 99% combatte una lotta continua per emergere.

Credi che le nuove tecnologie aiutino il rapporto tra musicisti e pubblico o che abbiano distanziato gli uni dagli altri?

Secondo me le nuove tecnologie non hanno distanziato il pubblico dalla musica. Basta vedere quanta gente va ancora ai concerti e quanta gente ancora si commuove in giro con i cuffioni sulle orecchie. Il rapporto emotivo tra l’ascoltatore e l’artista è così intenso che niente potrà mai contenerlo. Se poi l’artista pubblica dieci stories al giorno la cosa non mi disturba.

Qual è a tuo giudizio il confine tra indie e mainstream?

Il mainstream è un indie che ce l’ha fatta e l’indie ha tutto il diritto di provare a farcela. Se vuoi rimanere in una nicchia non sei indie, ma semplicemente asociale o non interessato alla comunicazione. E ci sta, forse vivi anche meglio senza avere l’ambizione di espandere il pubblico.

Cosa pensi del Crowdfunding? Lo ritieni un mezzo veramente utile per i musicisti?

Non lo demonizzo, anche se visto il mio approccio mi darebbe fastidio cercare un amico o un conoscente per dirgli di investire su di me. Sono per il separare la sfera intima da quella professionale.

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Ph. Eliana Giaccheri