Classe 1950, 50 album pubblicati e una carriera che incarna l’indipendenza come poche altre, Angelo Branduardi è un musicista che suona da anni e che ha accumulato un’esperienza e una dedizione alla musica senza pari. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo e di raccogliere le opinioni di un artista senza peli sulla lingua.

In un periodo in cui si parla molto di musica indipendente, cosa ne pensa della scena indipendente?

Io non la conosco molto ma in passato anche io e miei colleghi, che abbiamo avuto contatti con le multinazionali, potevamo contare su un’etichetta e una libertà assoluta. Negli anni d’oro della discografia, 70 – 80 – 90, al giovane talento venivano dati 5 anni di tempo e un piccolo stipendio mensile.
Ti dicevano: “Col primo disco ci perdiamo, col secondo andiamo a pari e col terzo guadagniamo.”
Avevamo 3 possibilità, oggi ne hai una. 5 minuti e una pedata nel sedere.
In questo senso devo dire che un’etichetta indipendente ha un valore perché garantisce libertà che oggi non c’è, perché non c’è più una vera discografia. Oggi sono dei cialtroni.



Credi che le realtà indipendenti odierne abbiano la possibilità di competere con le grandi aziende che operano nella musica?

Non è facile. Ci sono però canali che fanno gioco agli indipendenti e possono anche sostituire le grosse produzioni. Se pensi alla possibilità di esposizione che ci sono oggi, un risultato può anche arrivare. Dipende dal talento, dallo studio e dalla polvere che hai dietro le spalle.
Quando hai tutto questo, un’etichetta indipendente ti sosterrà di certo.

Hai pubblicato più di 50 album, come fai ad essere così creativo?

Io ho iniziato a 5 anni (Branduardi è uno dei più giovani diplomati al conservatorio in tutta Italia) e sono sempre stato dentro alla musica. La musica bisogna lavorarla, bisogna saperla. Per una volta ti può andare bene ma serve lo studio. Quando mi sono trasferito a Milano ho incontrato molti musicisti e abitavamo tutti nello stesso quartiere. C’era Maurizio Fabrizio, i Fratelli La Bionda e molti altri. Ci trovavamo e da lì siamo cresciuti. Il musicista vede al di là del muro, finché riesce a farlo deve continuare. Quando questo non avviene più, è ora di appendere il violino al chiodo. Io mi diverto ancora molto e ho sempre nuove idee.

Hai notato differenze nel modo in cui si vive la musica nei vari paesi in cui hai suonato?

In passato sì. Ricordo la prima volta che ho suonato all’estero, ero a Monaco al Deutsches Museum e avevo di fronte un pubblico attentissimo. In Italia all’epoca era difficile suonare certe cose. Oggi il pubblico italiano ha fatto passi da gigante. Il pubblico francese, canadese, tedesco e quelli che conosco, sono rimasti gli stessi. Per vivere la musica la devi interpretare. Io ti do un sacco vuoto e tu devi riempirlo. Se però ti considero un sacco vuoto, non andiamo da nessuna parte.



Come vivi il rapporto con i social network?

Ho una pagina Facebook che gestisce un mio carissimo amico. Purtroppo ho visto succedere qualcosa che temevo come la violazione di privacy e potrebbe essere anche peggio. Ora vedremo dove si fermeranno.

Ha ancora senso fare dischi oggi?

Oggi ha più senso suonare che fare dischi. Io ho sempre idee ad esempio. Mi sveglio molto presto la mattina e vado in studio e lì mi vengono ancora delle idee. Non so se le metterò su disco, dato che oggi non li vuole più nessuno. Forse li diffonderò tramite altri media ma la musica continuo a farla.

Hai recitato nel film “State buoni se potete”. Torneresti a recitare per qualcuno?

No, non ne sono capace. Io non scrivo neanche libri o autobiografie come fanno molti miei colleghi. Lasciatemi solo suonare. La recitazione non è la mia tazza di tè, come dicono gli inglesi.



Ci sono artisti con cui vorresti collaborare?

Con tutti. A breve inizierò una collaborazione con un gruppo indipendente di Roma. Anzi lancio un appello perché sarei lieto di collaborare con altri artisti, potrei dare un contributo.

Cosa consigli a chi vuole fare musica?

Devi avere talento, carattere, il che vuol dire cattivo carattere e devi essere capace di varcare la porta di cui parlavo prima. Io sono contento di non dover iniziare adesso perché nonostante i media, c’è un gran casino. C’è di tutto un pò e alla fine non si distingue niente. Diventa come il rumore del traffico.
Ovviamente serve lo studio, la capacità, il talento e il carattere o la spavalderia.
Bisogna pensare che serve la gavetta e che bisogna avere quella che io definisco la “polvere dietro le spalle”.